Cacciatori responsabili - parte I
Posted on November 04, 2014 in Commenti
Che qualcosa non funzioni nella gestione della caccia, in Italia, è sotto gli occhi di tutti. I cacciatori sono frustrati e insoddisfatti, gli animalisti pure, l'ambiente soffre, la Nazione dimostra di non riuscire a sfruttare l'attività venatoria come una risorsa per salvaguardare il territorio e produrre benessere. Eppure basterebbe poco per fare di più.
Questo è il punto di vista condiviso da molti cacciatori e il legislatore ha molte colpe in questa situazione. Nella sua ansia di accontentare tutti, originata dalla debolezza del suo pensiero e dal fondamentalismo di alcuni attori, alla fine, non accontenta nessuno. Crediamo che si possa fare meglio. E che il meglio passi attraverso un sempre maggior coinvolgimento delle comunità locali.
Si prenda il caso degli Stati Uniti. Oltre Oceano la caccia è un esercizio ancora praticato da circa il 5% della popolazione. Un articolo apparso alcuni anni fa su National Geographic, Conserving Hunters, ci svelava come negli USA la diversa educazione del cacciatore medio sia frutto di un processo di formazione che ne rende anche socialmente più accettabile la figura. Il cacciatore è visto come un attore positivo nella conservazione della fauna, grazie al suo ruolo di selettore, ed è visto come una risorsa sia nella gestione del territorio che nel sostentamento delle piccole comunità dove la caccia si pratica. Spesso aree meno floride perché meno vocate ad attività economicamente rilevanti si avvantaggiano della presenza dei cacciatori – che in loco spendono per vitto, alloggio e quant'altro – per finanziare l'intera comunità. In questo senso è utile considerare certi calendari venatori che, per facilitare l'impatto positivo della presenza del cacciatore, impongono norme che ne favoriscono l'integrazione nella realtà locale; ci viene alla mente il Sud Dakota, realtà che conosciamo, dove la caccia al fagiano è consentita a partire da mezzogiorno così da favorire una presenza meno rapace del cacciatore, un suo soggiorno più lungo nel tempo. E, sempre in Sud Dakota, non va dimenticato il contributo degli agricoltori, che con pochi accorgimenti e senza spesa riescono a mantenere un habitat favorevole alla presenza del colchico, al punto che il loro stato è immediatamente associato alla caccia al fagiano, una peculiarità che sviluppa un turismo venatorio massiccio.
Ci sono poi iniziative che rendono l'immagine del cacciatore ben più che accettabile, come il programma che prevede la donazione del surplus di carne prelevata con l'attività venatoria a vere e proprie banche del cibo, presenti sul territorio con un piccolo esercito di volontari che garantisce che la carne donata sia stata prelevata, conservata, macellata nella maniera corretta. Si chiamino Hunters who care, The Hunters for the Hungry, Hunters and Farmers feeding the Hungry, Farmers and Hunters, Hunters Helping the Hungry, queste iniziative insegnano la condivisione delle risorse con i meno fortunati e proliferano soprattutto negli Stati del Midwest e del Sud (91,8%), i cui abitanti vengono spesso apostrofati con l'appellativo dispregiativo di red neck. La NSSF ci informa che mediamente, ogni anno, i cacciatori americani donano a banche del cibo, cucine parrocchiali, associazioni di assistenza 1.300 tonnellate di carne che corrispondono a 11 milioni di pasti per un controvalore di 6,5 miliardi di dollari). Si tratta di proteine nobili (prevalentemente cervi white tail ma non solo) che vanno ad impreziosire, da un punto di vista alimentare, le mense di chi è meno fortunato.
Questi cacciatori con il cuore, come ci piace pensarli, ci portano alla concezione dell'esercizio venatorio tipico delle culture tradizionali, dove il cacciatore è una figura rispettata, con una relazione con la preda che trascende il mondo materiale. Nelle antiche comunità, non rispettare la preda significava violare una regola, perdere il privilegio del ruolo e la capacità di cacciare. Purtroppo, vivendo principalmente inurbati, abbiamo perso questa connessione con il mondo naturale e, più ce ne allontaniamo, meno lo capiamo. Ecco perché è importante lavorare sulla formazione dei nuovi cacciatori e avere sempre rispetto, oltre che per la natura, per la comunità che ci ospita.
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